Libro dell'inquietudine
Fernando Pessoa
La mia allegria è dolorosa come il mio dolore. [...] Fra me e la vita c'è un vetro sottile. E per quanto nitidamente veda e comprenda la vita, non lo posso toccare.
Non sentir mai sinceramente i propri sentimenti, ed elevare il proprio pallido trionfo al punto da guardare con indifferenza le poprie ambizioni, ansie e desideri; passare dalle proprie allegrie o angosce come chi passa attraverso qualcosa che non gli interessa.
Di quante complesse ottusità sarà fatta la comprensione che gli altri hanno di noi! [...] Le parole degli altri sono errori del nostro udire, naufragi del nostro intendere.
La bellezza delle rovine? Non servire più a niente.
Le nostre più grandi tragedie si compiono nell'idea che ci facciamo di noi stessi.
Non ho mai imparato a esistere.
Quel che mi sento di essere, non so mai se lo sono davvero, o se solo credo di esserlo.
Non ho mai fatto altro che sognare. È stato questo, solo questo, il senso della mia vita. Non ho mai avuto altra vera preoccupazione se non il mio scenario interiore. I maggiori dolori della mia vita sfumano quando, aprendo la finestra sulla strada dei miei vaneggiamenti, non ne vedo più il movimento.
Le cose che più amiamo, o pensiamo di amare, assumono il loro pieno valore quando semplicemente le sogniamo.
L'immensa serie di persone e di cose che compongono il mondo è per me un'interminabile galleria di quadri. [...] Per me l'umanità è un gran motivo decorativo, che vivo tramite vista e udito. Dalla vita non voglio altro che stare a guardarla.
Mi ha sempre preoccupato, in quegli occasionali momenti di distacco in cui prendiamo coscienza di noi stessi in quanto individui altri per gli altri, immaginare la figura che farò fisicamente, e persino moralmente, per quelli che mi guardano e mi parlano, tutti i giorni o occasionalmente.
Guardo, come in una distesa al sole che sguarcia le nuvole, la mia vita passata; e noto, con metafisico sbalordimento, come tutti i miei gesti più sicuri, le mie idee più chiare, e i miei propositi più logici, non sono stati, alla fine, nient'altro che una ubriacatura congenita, una pazzia naturale, una grande ignoranza. Non ho neanche recitato. Sono stato recitato.
Non sapere di sé è vivere.
La noia è la sensazione carnale dell'eterna futilità delle cose.
Tra la vita degli uomini e quella degli animali non c'è alcuna differenza, se non la maniera con cui si ingannano o la ignorano.
La letteratura è la maniera più gradevole di ignorare la vita.
La noia non è la malattia del fastidio di non aver niente da fare, ma la malattia ancora più grave di sentire che non vale la pena fare niente. Quante volte sollevo dal registro su cui sto scrivendo e su cui lavoro la testa vuota di tutto il mondo! Sarebbe meglio starmene a oziare, senza far niente, senza avere niente da fare, perché almeno mi godrei quella noia, anche se reale.
Nostalgia! Ho nostalgia perfino di quel che per me non è stato niente, per l'angoscia della fuga del tempo e la malattia del mistero della vita. Volti che vedevo abitualmente nei miei soliti tragitti — se non li vedo più mi intristisco; e non sono stati niente per me, se non il simbolo di tutta la vita.
La libertà è la possibilità di isolarsi. Sei libero se puoi allontanarti dagli uomini, senza che il bisogno di denaro, o il bisogno di aggregazione, o l'amore, o la gloria, o la curiosità, che nel silenzio e nella solitudine non trovano alimento, ti obblighino a cercarli. Se ti è impossibile vivere da solo, allora sei nato schiavo.