La straniera
Claudia Durastanti
Mia madre camminava a testa bassa e con le spalle contratte come se piovesse sempre
Prima di imbattermi in queste teorie, credevo che l'amore coincidesse quasi sempre con il destino e una forma spaventosa di ignoranza — non sappiamo chi ameremo, né perché ne avremo bisogno. Ma quando penso alle somiglianze tra i miei genitori nei pomeriggi malinconici e rabbiosi della loro adolescenza, entrambi isolati, valuto la possibilità che l'incontro tra due persone non abbia a che fare far con la predestinazione quanto con una mappa biologica che si rivela mentre ci si innamora l'uno dell'altro, e si scopre che c'era un'intelligenza primitva che governava i nostri corpi e rilasciava particelle elementari nell'aria ancora prima di incontrarsi.
Capita di tornare dove tutto è iniziato e avvertire qualcosa di peggio che il senso di perdita: il dubbio, sottile e perverso, che in realtà quelle foto o quelle camicie di flanella non ci siano mai appartenute.
Non c'è un singolo atto di violenza nella mia vita che io riesca a ricordare senza ridere.
Londra ha perso la notte, i locali chiudono sempre prima. Anni fa gli autobus notturni erano pieni di gente timida, fragile e rivoltante. Erano tutti bellissimi mostri, con gli zigomi che sfondavano le guance, si scambiavano baci a bocca aperta e avevano una freddezza di fine secolo.
Da quando vivo a Londra queste decisioni istintive sono peggiorate. È come se avessi disimparato come si sta con gli altri. Invece di fermarmi ad assistere una persona cher sta male, non faccio che chiedermi quanto pagano di affitto i miei conoscenti, o che lavori fanno per restare qui, in un'ostinata resistenza che mi ottenebra e mi sta trasformando in una creatura diversa, di cui non sopporto la voce, il modo di gesticolare o di vestire. Cammino veloce per seminare i ninja androgini e salutisti che popolano le strade. Fuori sono tutti abbigliati con tenute sportive guerrigliere, indossano tute aderenti e scarpette da corsa come se si prestassero a saltare nel vuoto. Si son presi la notte, con il loro ottimismo ginnico e iodato, e tutte le persone mostruose e brutte hanno iniziato a sparire o a vivere in massa nelle stazioni: l'empatia l'ho disimparata, e ora ho una cittadinanza.
Quel che non c'è scritto nelle nostre tombe è la distanza da casa. Non siamo adolescenti partiti per cercare oro alla frontiera, e anche se ci ammaliamo di solitudine come facevano i pionieri del Vecchio West, nessuno dirà quali distanze abbiamo messo tra noi e il punto di partenza. Nessuno dirà di me o dei miei amici trasferiti in Inghilterra che siamo morti a duemila chilometri dal posto in cui siamo cresciuti, e questo perché non sono stati i venti di frontiera a spingerci, non abbiamo conquistato lande desolate e inventato pozzi necessari a portare l'acqua potabile, ma ci siamo stanziati in città già sovrappopolate, abbiamo lavorato in locali perimetrati dalle case in cui abbiamo dormito nell'umidità e nell'incomprensione dei proprietari, avamposti occidentali segnati sulla mappa alla ricerca dei nostri simili, e quale consolato o stazione di posta avrebbe potuto prendere nota delle nostre distanze alla vigilia di una specie di morte, se per tanti di noi quella partenza in fondo non era stata tanto necessaria né troppo difficile?
Il disastro è per forza di cose incrementale, un'accumulazione quotidiana, per la maggior parte di noi.