Il posto
Annie Ernaux
Scrivo lentamente. Sforzandomi di far emergere la trama significativa di una vita da un insieme di fatti e di scelte, ho l'impressione di perdere, strada facendo, lo specifico profilo della figura di mio padre. L'ossatura tende a prendere il posto di tutto il resto, l'idea a correre da sola. Se al contrario lascio scivolare le immagini del ricordo, lo rivedo com'era. [...] Naturalmente, nessuna gioia di scrivere, in questa impresa in cui mi attengo più che posso a parole e frasi sentite per davvero, talvolta sottolineandole con dei corsivi. Non per indicare al lettore un doppio senso e offrirgli così il piacere di una complicità, che respingo invece in tutte le forme che può prendere, nostalgia, patetismo o derisione. Semplicemente perché queste parole e frasi dicono i limiti e il colore del mondo in cui visse mio padre, in cui anch'io ho vissuto.
Era la domenica che si facevano le foto, c'era più tempo ed eravamo vestiti meglio.
Decifrare questi dettagli è per me necessario, ora, mi si impone con necessità in quanto li ho rimossi sicura del fatto che non significassero nulla. Soltanto una memoria umiliata ha potuto far sì che ne serbassi delle tracce. Mi sono piegata al volere del mondo in cui vivo, un mondo che si sforza di far dimenticare i ricordi di quello che sta più in basso come se fosse qualcosa di cattivo gusto.
Con la lontananza avevo levigato l'immagine dei miei genitori, li avevo privati dei loro gesti e delle loro parole, due corpi gloriosi.
È nel modo in cui le persone si siedono e si annoiano nelle sale d'attesa, si rivolgono ai figli, salutano sui binari della stazione che ho cercato la figura di mio padre.